Il piacere femminile è tema che mi sta immensamente a cuore.
Sono fermamente convinta che una reale consapevolezza della vera natura del piacere contribuirebbe a portare la pace nel mondo.
Si si, lo so.
Visione eccessiva, ma lasciatemelo credere.
Ronza sempre nella mia testa l’affermazione di Vicki Noble sui bonobo, i primati più simili a noi umani. Che hanno struttura sociale matrifocale e che risolvono i conflitti dedicandosi all’attività sessuale.
Non inorridite, è un comportamento estremamente più evoluto del fare la guerra e uccidere.
Pensateci.
In teoria avrei voluto iniziare questo articolo con atteggiamento intellettuale, citando ricerche antropologiche e studi storici.
Ma prima di sfoderare l’artiglieria erudita, ci tengo a inquadrare culturalmente e nel suo fondante impatto quotidiano la questione.
Ok, lo sappiamo tutti che veniamo dalla reazionaria impronta delle religioni monoteiste, che hanno relegato il sesso al puro valore procreativo e il piacere (soprattutto femminile) a cifra non semplicemente innecessaria ma perniciosa.
Sappiamo anche che ancora oggi donne di molti paesi subiscono mutilazioni genitali volte a garantirne purezza e integrità.
Restiamo su questo significato, che rimane nelle pieghe delle nostre menti e delle nostre viscere, nonostante i tentativi di vederla in altro modo: il piacere femminile è il male perché se la donna lo conosce e ne è consapevole il rischio è che non resti fedele a colui che formalmente la possiede.
Ma c’è ben altro.
C’è che il piacere ha una fondamentale funzione di attivazione della creatività.
Intendendo per creatività la capacità di immaginare, pensare, progettare, concretizzare. Lo chiarisce Naomi Wolf in “Vagina”, dove spiega il collegamento fra l’orgasmo femminile e le attività del cervello.
C’è che il piacere ha anche una fondamentale e strutturale funzione nella consapevolezza di sé stesse e nell’autostima, contribuendo fortemente alla centratura.
E non va dimenticata la funzione di connessione energetica. Non voglio addentrarmi in spiegazioni tantriche e scomodare i chakra. Né menzionare paralleli, più volte studiati, fra l’estasi mistica descritta da alcune Sante e l’orgasmo.
Mi fermo all’evidenza: l’attività sessuale ha in sé una potente azione di congiunzione e trasmissione, con l’altro e con sé, e l’orgasmo è decisamente un’esperienza di attivazione e contatto energetico.
È una connessione diretta con l’energia dell’Universo.
E gli antichi tutto questo lo sapevano bene.
Sempre Vicki Noble afferma che la Yoni (la Sacra Patata nda) è probabilmente il soggetto più rappresentato nelle immagini preistoriche e neolitiche.
Aggiungo: la yoni è stata molto rappresentata anche in epoche più recenti, pur in forma meno palese. Particolare che in cinque anni di studi universitari in storia dell’arte non è mai, e dico mai, emerso.
La diffusa e ripetuta rappresentazione della yoni ci dice molto sul valore che le veniva attribuito.
Quando un soggetto iconografico riscuote tanto successo c’è sempre un buon motivo.
In questo caso i motivi sono vari.
Da quella magica fessura escono i bambini. Il che è già un potere miracoloso.
Da quella magica fessura esce il sangue ogni mese. Sangue che non uccide e che si manifesta con un preciso ritmo temporale. In epoche in cui il concetto teorico del tempo (come lo intendiamo noi oggi) non esisteva, anche questo era un potere miracoloso.
Ultimo, ma non meno importante, il potere che deriva dall’atto sessuale.
E udite, udite, non per la capacità di procreare.
Ma proprio per quella meravigliosa capacità di produrre ineguagliabile piacere. Piacere che ha la capacità di metterci in connessione con l’essenza divina. Comunque la intendiamo o vogliamo identificarla o nominarla.
Se pensiamo alla yoni come porta, come accesso su mondi diversi (da cui arrivano bambini, sangue benefico che scandisce il tempo) non è difficile comprendere come il piacere e la sua capacità di connessione energetica facessero parte di questo potere di accesso ad altre dimensioni.
Lo studio dell’iconografia della Sacra Patata conferma quanto appena detto.
Perché se usciamo dal lungo periodo di larga diffusione dell’iconografia della yoni (paleolitico e neolitico) e andiamo a guardare rappresentazioni più vicine a noi, troviamo dei significati che, osservati con attenzione, alludono proprio al potere del piacere.
Fra il VI e l’VIII secolo d.C. in Irlanda e Gran Bretagna è diffusa l’iconografia della Sheela-Na-Gi. L’immagine di una donna anziana, calva, che ha le gambe divaricate e con le mani si apre la vulva, mostrando la fessura, proprio come se fosse un passaggio.
Troviamo la Sheela-Na-Gi sui muri di chiese conventi. Ma anche di fronte ai cimiteri. L’origine di questa iconografia è molto antica e si perde nelle raffigurazioni femminili della Dea. Sicuramente allude alla vulva come porta fra i mondi. Fra il mondo dei vivi e dei morti, certo. Ma ha anche un potente valore sessuale. Che ricorda fortemente la Dea Baubo, presente nella versione più antica del mito di Demetra. È Baubo a far ridere Demetra durante il suo lutto per il rapimento di Kore/Persefone. Baubo, Dea anziana, di fronte all’inconsolabile Demetra, si alza la gonna e mostra la vulva. Questo gesto fa ridere Demetra, e quella risata riporta in lei la scintilla vitale che la condurrà alla soluzione: proporre a Zeus di far stare la figlia sei mesi nel regno degli inferi con il consorte Ade, e sei mesi sulla terra con la madre. E guarda caso quella scintilla vitale arriva dall’esposizione della vulva, nel suo potere di alludere ad altra dimensione.
Ritroviamo l’iconografia della Sheela-Na-Gi in tempi più tardi in Francia e in Italia, rappresentata nella medesima posizione, ma dove le gambe e la vulva sono scomparse, trasformate in code di sirena. L’iconografia della sirena bicaudata è estremamente diffusa nelle pievi romaniche. Rappresenta Melusina, fata dell’acqua, che ha il potere di attrarre gli uomini e portare loro abbondanza e fortuna. A patto che non si mostri mai nella sua reale forma di donna metà pesce (o forse metà serpente, ma questa è un’altra storia). Rieccolo, il significato dell’essere fra due mondi, fra due realtà diverse. Insieme all’evidente prescrizione: la donna non può mostrare la sua reale natura, deve nascondere il suo potere di connessione, che viene, sempre e comunque, dalla vulva come porta.
A conferma di questo potere troviamo antichi archetipi sciamanici e rituali dove l’azione è l’amplesso.
Nel mondo celtico la legittimazione del potere di un regnante avveniva attraverso l’atto sessuale con una sacerdotessa, che rappresentava la Terra, nella sua accezione più alta.
Nei suoi studi, Morena Luciani Russo, identifica nella volpe il trickster che si muove fra i mondi. E la volpe è legata alla vulva sacra: sia nel suo potere di passaggio con il mondo dei morti, sia nel suo potente valore sessuale.
Questo breve excursus vuole suggerire qualche riflessione.
Gli antichi conoscevano bene il potere di connessione della yoni, che nella efficiente mistificazione patriarcale abbiamo dimenticato. Nonostante tutto qualche traccia è rimasta. È tempo di recuperarla, rimettere insieme i pezzi, ritrovare la storia e il sapere perduto.