OLTRE IL POF >>ESAURITO<<
EDITORIALE 117
PRIMA DI TUTTO: LA DIAGNOSI
di Verena Schmid
Non è mai stato facile fare una corretta diagnosi di posizione, farla nel momento giusto, con uno sguardo globale alla dinamica uterina, allo stato materno e a quello del bambino. Forse non viene nemmeno insegnata più di tanto, dato che l’osservazione clinica e la manualità vengono largamente sostituiti dagli strumenti tecnici, come per esempio l’ecografia. Ma, mentre l’ecografia fa una fotografia del momento su una donna e un bambino considerati passivi piuttosto che in movimento e con delle competenze, la valutazione clinica circolare non solo rileva una situazione dinamica, ma offre anche delle indicazioni per la scelta degli strumenti correttivi da usare.
Quindi, ricominciamo dall’ostetricia classica, punto di partenza. Aggiungiamo una dose di considerazioni integrative, una dose di fisiologia dinamica, di anatomia funzionale, di midwifery, di salutofisiologia, li condiamo con alcuni strumenti pratici da usare in sala parto, con alcune curiosità e con un pizzico di poesia applicativa, cuociamo il tutto sul fuoco delle parole che creano imprinting… ed ecco la ricetta di questo numero di D&D per essere meglio preparate ad affrontare i travagli difficili.
Alla base, prima di scegliere uno strumento di intervento, è fondamentale fare una diagnosi il più corretta possibile e globale, perché non tutto quello che s’annuncia con una diagnosi di malposizione, considerata come una grande prova di pazienza e sapienza, esita in un parto difficile. A volte è proprio il bambino competente che cerca strade diverse, laddove trova difficoltà in quella prevista.
In un fenomeno con delle variabili individuali così ampie come il travaglio di parto è proprio la valutazione globale, che permette di decidere se è sufficiente dare tempo a mamma e bambino, op-pure se un intervento correttivo è indicato e può prevenire un parto distocico, evitando inutili sof-ferenze a mamma e bambino.
Di molte cause che possono portare a un malposizionamento del bambino nel bacino materno abbiamo parlato nel numero 116, infatti suggerisco di tenerlo vicino, mentre affrontate la lettura di questo numero.
A mio avviso però c’è una causa dominante che crea la maggior parte di questo fenomeno: líimpossibilità per la donna partoriente di lasciarsi attraversare dal bambino. Questa impossibilità, ancora nella maggioranza dei casi è dovuta a fattori ambientali/culturali (vedi anche la Birth territory theory), in una parte minore è dovuto a fattori personali. Alcune delle mie esperienze nell’assistenza ai parti a domicilio e a donne che volevano fare il travaglio a casa e poi andare in ospedale, sono state illuminanti per la comprensione di questi fattori.
Nei trasferimenti da casa all’ospedale quasi sempre avviene una regressione del processo del travaglio: il collo si richiude, la testa fetale torna indietro, ma una volta ristabilito un ambiente rassicurante, il travaglio si rimette in moto e il bambino scende. Viceversa, quando la donna non è preparata all’ambiente ospedaliero, o è stata messa in ansia da chi la seguiva, o si trova in un turno poco accogliente, o non viene ascoltata, o viene separata dal marito, o ha poca fiducia nelle proprie capacità di partorire, spesso i muscoli si tendono e il bacino si irrigidisce, restringendo i diametri interni.
In questo caso un bambino può mettersi in posizione trasverso/posteriore, nel tentativo di trova-re maggiore spazio, ma anche un bambino già correttamente impegnato può tornare in alto e mettersi in posteriore.
È importante conoscere la dinamica muscolare per correggere questo tipo di tensioni, altrettanto importante è conoscere le strutture anatomiche di base per comprendere le vie possibili per nascere.
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