Partorire: individualità dei pattern di travaglio.
Editoriale della direttrice Anna Maria Rossetti, tratto dal numero 6 della rivista Archimetra sul tema del parto in acqua: EBM, expertise avanzata, salutogenesi nei casi limite.
L’acqua come strumento ostetrico è storia
L’acqua come strumento è stata usata dalle donne di diverse culture per alleviare la sensazione delle doglie, muoversi liberamente e facilitare lo stato alterato di coscienza. Che si tratti di impacchi, di getti, di immersione in tinozze o in mare, l’acqua è universalmente il simbolo dell’adattamento, del fluire e quindi, intuitivamente e istintivamente, lo strumento che pare essere particolarmente indicato quando la dinamica di un travaglio sembra superare la capacità di coping della donna. L’acqua calma il fuoco, metafora della motivazione, ma anche, di un eccesso di stress.
Dall’intuito alla scienza
Per questo motivo ho voluto aprire la rivista con un estratto del meraviglioso spettacolo di e con Giuliana Musso, “Nati in casa”, opera di teatro civile nata dalle interviste reali a tre levatrici condotte del Nord Est Italia dei primi anni del Novecento. Lì l’acqua sgorga dal genio della levatrice Maria come strumento per spegnere il fuoco di un travaglio che oggi chiameremmo “in distress”. È così che assistiamo alla prima nascita in vasca documentata in Italia, nel 1938. Ma ovviamente, questa qualità evocativa e suggestiva dell’elemento, è stata solo la partenza. Molte ricerche sono avvenute nel mondo dal 1938 a oggi per quanto riguarda l’uso dell’acqua nella nascita, tanti dubbi sono emersi da parte della comunità scientifica e altrettanti hanno trovato risposta. Si pensi al tema delle induzioni di travaglio, delle PROM o delle donne precesarizzate. Nel mare di informazioni ormai accessibili a tutti abbiamo fissato alcune boe, proponendo studi ed elementi scientifici da ostetriche e da neonatologi per disambiguare alcune informazioni e fornire le basi a supporto di una pratica sicura.
Abbiamo messo la testa sott’acqua
Ma non poteva bastare: all’acqua appartiene anche la profondità, dove non si vede e non si tocca (dove mamma, bambino e perineo non si vedono e non si toccano), ed è da quel buio che possono emergere le paure ataviche di chi sta fuori. Sul fondale abbiamo trovato così tanti dubbi e paure, così grandi e insondabili da divenire concreti ostacoli all’uso dell’acqua nella Midwifery Care, fino alla negazione dei diritti delle donne. Per questo nella sezione degli strumenti abbiamo deciso di prendere un
gran respiro e mettere collettivamente la testa sott’acqua. Badate è il contrario del gesto dello struzzo: lui mette la testa sotto la sabbia per negare ciò che lo spaventa, mentre noi mettiamo la testa sotto l’acqua per andare a vedere cosa c’è sotto, nel profondo e sul fondale scandagliare ogni timore, sostituendolo con le risorse della fisiologia, l’approccio salutogenico e l’EBM. È così che molti spauracchi degli operatori della nascita (come l’avulsione cordonale, l’inalazione di acqua, la distocia di spalla), vengono chiamati per nome e posti sotto la lente dell’expertise avanzata di ostetriche e mediche che hanno fatto scuola.
Se si conoscono le risorse della fisiologia il parto in acqua non fa paura
Ma anche questo non poteva bastare. L’acqua nel travaglio e nel parto non può e non deve essere chiusa in protocolli che la rendono accessibile solo alle donne perfettamente fisiologiche: se comprendiamo le proprietà psiconeuroendocrine dell’acqua come strumento in travaglio, capiamo come sia particolarmente indicata proprio per quelle condizioni che ad oggi, in molte realtà, costituiscono una controindicazione all’uso. Se si conoscono le risorse della fisiologia il parto in acqua non fa paura. Pensiamo alle donne con Large BMI o con sospetta macrosomia fetale, con diabete gestazionale compensato o con induzione e magari GBS positive. Scopriamo quanto l’acqua è protettiva proprio nei confronti di queste categorie e diventa specifica per i loro bisogni. Usare sapientemente l’acqua significa non lasciarla esondare, sapere quando è troppa, quando è il caso di proporre alle donne di uscire.
Ma l’acqua non è solo quella dell’immersione
Certo, la spinta idrostatica di un’immersione vera e propria è l’unica a conferire i benefici sul piano PNEI nel travaglio, ma l’acqua è un elemento presente in modo simbolico in chi assiste le nascite, se lo fa con adattabilità, sostegno, morbidezza, calore, accoglienza, alleviando il dolore e parlando all’inconscio con empatia. In questo numero le colleghe Pizzi e Baglioni ci mostrano come portare acqua in sala parto quando l’acqua, quella fisica, non c’è.
L’ostetrica può essere ambiente acquatico
E credo sia questo il messaggio più importante quando si parla di sostenere le donne con l’uso dell’acqua nella nascita: il nostro modo di essere è la chiave: l’ostetrica può essere l’ambiente acquatico in cui mamma e bambino si immergono, per abbandonarcisi, sapendo di essere al sicuro, sentendo di poter far scorrere le emozioni e muovere il corpo e sentendo così il fluire “in immersione” di un processo individuale. Ed ecco che la nascita in acqua non diventa una moda né un protocollo, ma un’opzione sapiente.
È qui che il mio editoriale cambia registro e diventa pioggia battente
Ho bisogno di una tempesta che smuova il fondale: il diritto all’uso dell’acqua è sistematicamente negato alle donne ma, a farne le spese, sono soprattutto quelle appartenenti a minoranze etniche, povere, sole, spesso giovani. In uno studio britannico condotto in anni recenti si è mostrato come sia statisticamente più probabile riuscire ad avere un travaglio e/o una nascita in acqua se si è donne bianche, colte, abbienti e di età più avanzata. Questo pone il tema del parto in acqua a pieno titolo nel novero delle questioni da attenzionare quando si parla di diritti umani al parto. Questo ci mostra che anche l’uso (o il non uso) dell’acqua negli ambienti della nascita rischia di diventare un esercizio di potere sul corpo delle donne, che vedono purtroppo spesso negati bisogni e desideri individuali.
Si conclude la sezione orientamento con le interviste alle ostetriche pioniere del parto in acqua in Italia, colleghe che mostrano, con le loro parole, che il primo atto rivoluzionario che hanno compiuto è stato dare il potere e la libertà di scelta alle donne.
Dal piano cognitivo a quello simbolico
Le parole di questo numero nutrono il piano cognitivo, ma è il simbolo a lavorare nel profondo: nella sezione SEAO Rise Francesca Rugi propone un assaggio sui segni d’acqua antichi, la cui elaborazione da parte di Sara Magrini, la nostra Art Director, ha permesso di disseminare la rivista di simboli e segni evocativi dell’elemento, che risuonino in noi durante la lettura.
Se ci manteniamo acquatiche in presenza delle nascite, le donne ci insegnano, e continueranno ad insegnarci, che cosa è possibile in ostetricia.
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Se si conoscono le risorse della fisiologia il parto in acqua non fa paura.
Partorire: individualità dei pattern di travaglio