Non avere accesso a cure ostetriche di qualità significa vivere anni con gli esiti di una lacerazione di quarto grado completo (perineo, ano e retto) mai suturata; significa un alto rischio di essere sottoposta a pratiche violente casalinghe durante il parto e morire con l’utero rotto e il proprio bambino deceduto in addome; può voler dire trovarsi a dover gestire da sola il proprio prolasso totale dell’utero e decidere di reciderlo con un coltello di cucina, o soffrire un’inversione totale uterina durante un secondamento; morire con la testolina del proprio figlio podalico rimasta in addome, decapitato, dopo un tentativo violento e ignorante di estrazione podalica. Queste sono storie vere che abbiamo incontrato anni fa nei luoghi remoti dell’Afghanistan rurale in cui l’assistenza ostetrica non era mai arrivata.
Afghanistan, 3 dicembre 2024: il governo presieduto dai talebani ha inferto un ennesimo colpo nella sua guerra contro le donne, aggravando lo scenario di apartheid di genere di cui è colpevole dal suo secondo insediamento nel Paese, nel 2021.
Dopo avere impedito alle donne di uscire di casa, di far udire la loro voce, di mostrarsi in pubblico, ora è arrivato il turno della proibizione dell’accesso alle facoltà di ostetricia e infermieristica.
L’indignazione nazionale e internazionale sollevatasi da questo ultimo attacco alla libertà delle donne afgane non basta per comprendere la portata e l’impatto di questo provvedimento governativo.
L’Afganistan è tra i Paesi che vantano un triste primato di mortalità materna a livello globale. Nel corso del ventennio 2000-2020, l’implementazione di ostetriche professionali nel territorio ha portato a una riduzione di morti sia materne sia neonatali (dati del report 2023 dell’AMA – Afghan Midwives Association, l’Associazione delle Ostetriche Afgane).
Nel 2021 l’AMA è riuscita ad aprire a Kabul il primo centro nascita gestito da sole ostetriche del Paese, marcando un passo avanti nei diritti umani e riproduttivi e dimostrando la forza delle colleghe afgane.
Il lavoro dell’AMA è stato intenso anche nel promuoverne la formazione e l’aggiornamento professionali gratuiti e continui; a questo scopo ha creato una piattaforma digitale e un’ App dedicata che contiene l’accesso GRATUITO ad argomenti attuali e rilevanti come “Aiutare i bambini a respirare”, “Abilità per il parto normale” e “Gestione del postpartum”. L’App consente di studiare online e offline e fornisce inoltre l’accesso gratuito a riviste e articoli, oltre a ospitare webinar.
L’AMA ha fatto tanto non solo all’interno del Paese ma si è anche impegnata a fare rete a livello globale, mostrando alle ostetriche di tutto il mondo che la forza sta nell’essere unite e costruire ponti.
Ora, l’ex presidente dell’Associazione delle ostetriche afghane Zahra Mizraei è fuggita dall’Afghanistan quando i talebani hanno preso il potere e si trova in Europa.
La ricaduta della scellerata decisione del governo talebano sta già mostrando un incremento della mortalità materna e infantile, con sempre più donne che partoriscono da sole e senza accesso né a cure prenatali né ad assistenza al parto, in violazione dei più basilari diritti umani, sessuali e riproduttivi. Ma non solo, la ricaduta di questa azione legislativa è più ampia: lontano dalle grandi città, nei villaggi isolati per mesi dalla neve o dalla mancanza di strade o mezzi di trasporto, l’ostetrica è e sarà l’unica figura sanitaria che le donne mai incontreranno nella vita, non potendo farsi visitare da uomini; a lei si rivolgeranno in caso di patologie croniche o di malesseri, non necessariamente connessi alla sfera sessuale o riproduttiva. Impedire alle ostetriche di fare le ostetriche significa non solo condannare a morte inevitabile persone grandi e piccole, ma significa anche togliere l’unica dignità di accesso alle cure per molte donne.
Le ostetriche che continuano a lavorare in questo momento in Afghanistan lo fanno a loro rischio e pericolo, a partire dal pericolo di uscire di casa per poter andare a praticare la professione più antica del mondo: l’assistente alla nascita.
A loro va il nostro rispetto, la nostra vicinanza e la nostra voce nel continuare a promuovere il diritto di scelta, il diritto alle cure ostetriche, alla continuità dell’assistenza, all’aborto sicuro e gratuito e alla libertà sessuale, contraccettiva e riproduttiva.
Anna Maria Rossetti, direttrice SEAO