Vi è purtroppo un “tempo perduto” durante il parto e la nascita, soprattutto nei modelli di assistenza altamente medicalizzati. Si tratta di un tempo non vissuto dalla mamma e dal bambino, un tempo di cui si è irrimediabilmente privati, per seguire protocolli routinari e consuetudini che a volte non trovano riscontro nelle evidenze scientifiche e nelle raccomandazioni internazionali (WHO 2018). Un tempo “rubato” alla diade mamma-bambino, che non permette la nascita fisiologica (induzione e accelerazione), la separazione graduale (clampaggio immediato del cordone ombelicale), l’attaccamento e l’allattamento (separazione mamma/bambino). Un furto sociale ed esistenziale, spesso violento fisicamente ed emotivamente, che emerge non solo nella narrativa delle donne che partoriscono, ma anche dalle crescenti evidenze provenienti dalla psicologia perinatale, dall’epigenetica e dalle neuroscienze.
Il tentativo di questo breve scritto è di delineare i processi complessi che producono il “tempo sottratto”, per comprenderne meglio i meccanismi, a volte talmente naturalizzati da sfuggire anche all’occhio più critico. Bisogni indotti da un sistema medico eccessivamente interventista e da un mercato precursore delle nostre (a volte presunte) necessità; ma anche bisogni disattesi, da un sistema di welfare-mondo del lavoro che non corrisponde nemmeno lontanamente ai tempi della mamma e del bambino.

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