“L’integrazione dei pediatri, o meglio dei neonatologi, nei Servizi di Ostetricia e l’affermazione della puericultura e della neonatologia come discipline autonome hanno contribuito, negli ultimi decenni, a mutare radicalmente l’interesse dell’ostetrico nei riguardi del neonato” (Pescetto et al., 2001)
Così comincia il capitolo sul neonato di uno dei principali testi di studio delle ostetriche nel nostro Paese, ed è da qui che vorrei cominciare una nuova riflessione.
Nonostante il profilo professionale dell'ostetrica preveda che sia la professionista che assegna l'Apgar al neonato e si occupi dell'assistenza neonatale, di fatto, in molte realtà, non è più responsabile del neonato dopo la nascita, quindi questo non è più di “suo interesse”. Il parto è l’evento fisiologico che separa il corpo del neonato dopo l’espulsione dai genitali materni; quindi, c’è un professionista che si occupa della madre e uno che si dedica al neonato: si separano i corpi e si separano le competenze.
Il parto è vissuto come evento separativo e non come incontro.
Nelle mani di chi rimane, quindi, il momento in cui questi due corpi si ritrovano dall’altro lato della pelle? Chi si fa guardiano dell’incontro, o meglio, chi può riscattarlo?

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