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D&D 108 - IL PIANTO DEL NEONATO

DOGLIE, DOLORE, PIANTO E REAZIONE

Il pianto del neonato (e della neomamma) è un po’ come il dolore delle contrazioni del parto: ambedue sono segnali soggettivi di vissuti dei protagonisti; nel primo caso del processo del parto, nel secondo caso del processo del puerperio e I trimestre post parto. Ambedue richiedono molto spesso un sostegno professionale, per il quale l’ostetrica, caregiver primaria, non viene preparata nella sua formazione di base.

Eppure, sostenerli adeguatamente crea benessere e salute, nel bambino come anche negli adulti.

Questo numero di D&D, quasi più un saggio che un giornale, da quanto c’era da dire sull’argomento, offre un’ampia panoramica su un tema complesso. Il pianto del bambino infatti è un processo che tocca più punti: dal segnale emesso alla sua recezione, alla risposta reciproca dai forti toni emozionali, coinvolge messaggero e riceventi. Le reazioni giocano tra propri vissuti primari, spesso inconsci, fattori culturali e sociali e, come vedremo anche transgenerazionali.
Per districarsi nella mole di credenze, messaggi, metodi proposti, consigli e solitudini sono necessarie alcune conoscenze di base: la distinzione di un neonato e/o un genitore in distress, con bisogni precisi e specifici da un neonato in normostress che manda i suoi segnali, rispetto a un genitore in grado ddi rispondere oppure no: la conoscenza delle funzioni fisiologiche e dei rispettivi bisogni di un neonato e bambino piccolissimo; la conoscenza dei fattorie che accrescono la competenza materna e paterna e la capacità di supportarlo.
Purtroppo in Italia i genitori poco dopo la nascita sono lasciati soli. L’ostetrica difficilmente li può’ accompagnare per un pezzo di strada facendo opera di prevenzione, e quindi succede che genitori esasperati si rivolgano al pediatra o alla psicologa quando ormai si è instaurato un circolo vizioso.
Se non arrivano a questo punto, molti divoro rischiano di vivre i primi mesi della vita con il loro bambino in una situazione di tensione e stanchezza cronica, dubitando delle loro capacita di essere madri “buone” o padri capaci di consolare il proprio bambino.
Nella nostra cultura questa fatica è data per scontata, è considerata normalità.
Che non debba essere necessariamente così, ce lo spiega Annalisa Garzonio (p. 38) attraverso il suo sguardo interculturale.Io aggiungo che l’ostetrica potrebbe contribuire molto a dare una diversa qualità a questo importante inizio della genitorialità, sempre con conseguenze a lungo termine rispetto allo stile di attaccamento, alla stabilizzazione e autoregolazione del bambino e all’interazione relazionale tra bambino e genitori e viceversa. E questo non solo attraverso una sua presenza accanto ai genitori nel 1 primo trimestre dell’esogestazione, ma anche attraverso la cura di una buona omeostasi della donna in gravidanza, che faciliterà’ i processi di adattamento dopo la nascita.
I vissuti della gravidanza, le modalità in cui avvengono il parto e l’accoglimento , incidono profondamente sulle modalità’ in cui si svolge il puerperio.
E il puerperio, la prima esogestazione, incide sulle competenze emozionali e sociali del bambino crescente e del futuro adulto. Ancora, la continuità’ dell’assistenza è la chiave per per offrire una buona assistenza alla maternità’ attraverso tutti i 18 mesi della gravidanza.

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